A partire dal periodo giudicale la Sardegna venne disseminata di chiese (di varie dimensioni), commissionate la maggior parte delle volte dagli innumerevoli ordini ecclesiastici, che approdarono nell’isola soprattutto in seguito all’opera riformatrice di Gregorio VII.
Numerose le chiese intitolate alla Vergine, tra queste annoveriamo quella di Mogoro, con il suo linguaggio ibrido romanico-gotico, intitolata alla Madonna del Carmelo.
Al suo fianco, adiacente e in equilibrio stilistico, si erge il Convento dei frati Carmelitani calceatorum (scalzi), risalente al XVII secolo.
Le calde tonalità paglierine della pietra arenaria conferiscono al complesso monumentale cangianti vibrazioni, visioni suggestive, non corrispondenti all’immagine antica. Tutt’intorno una grande piazza in pietra, recentemente ricostruita, ed un giardino vengono dominati dal nuraghe Su Gunventu, che svetta sul cucuzzolo della vicina collina.
L’impianto originario dell’edificio è da collocarsi entro il primo quarto del XIV secolo; l’unico termine cronologico di riferimento è il 1341, anno in cui il toponimo della chiesa compare nei registri delle decime pontificie. Nella Chiesa del Carmine si fondono le caratteristiche strutturali dell’architettura romanica con gli elementi innovativi dello stile gotico.
L’edificio, che conta un’unica navata rettangolare con abside quadrata all’esterno e a semicatino all’interno, ha il tetto a due falde con una copertura in tegole su orditura a capriate in legno, che poggiano su mensole intagliate. Sono particolarmente interessanti quella del toro e della scimmiotta, ambedue in posa schiacciata; probabilmente esse sono le più antiche e potrebbero ricondurre ad una copertura lignea più ricca ed elaborata.
La luce si irradia all’interno attraverso cinque finestre monofore, nonché dalla grande finestra bifora con rosone quadriforo e da un rosone semplice al vertice dell’abside, creando giochi cromatici soffusi.
La facciata si articola in due ordini: il portale romanico architravato, sormontato da un arco di scarico a tutto sesto, è l’unico elemento significativo del registro inferiore; nell’ordine superiore campeggia la grande bifora gotica, rimasta obliterata per un certo periodo e riportata alla luce grazie alla prima campagna di restauro che venne condotta, tra il 1908 e il 1909, dall’ingegner Dionigi Scano.
Sul lato settentrionale si trova l’altro portale, stavolta con i caratteri innovativi del nuovo stile gotico, caratterizzato da un profilo archiacuto, con sopracciglio che poggia su capitelli fitomorfi. Una sequenza di archetti pensili trilobati, poggianti su peducci di varia forma, percorre tutto il profilo dell’edificio e rappresenta uno degli elementi innovativi dell’intero programma decorativo.
Tra il 1908 ed il 1988, diversi sono stati i restauri a cui la Chiesa del Carmine è stata sottoposta: dal rifacimento dei prospetti murari esterni al rinnovamento della pavimentazione e degli intonaci; dal rimaneggiamento del tetto allo spostamento del campanile a vela dal prospetto nord al prospetto principale del Convento; dalla sostituzione degli infissi alla demolizione di due altari e successiva realizzazione di un altro altare in legno.
Sul lato destro dell’ingresso è raffigurato, in rilievo, l’emblema dell’Ordine Carmelitano, che dimorò nel Convento sino al 1866, anno in cui venne promulgato il regio decreto che sanciva la soppressione di tutti gli Ordini e le Congregazioni religiose, e il passaggio dei loro beni al demanio dello Stato poi a quello comunale.
La Chiesa del Carmine trova diretti confronti nel panorama architettonico sardo del ‘300, diventandone perfino uno dei modelli primitivi di riferimento.